La psicoanalisi di Lacan: ignoranza, ripetizione, desiderio di sapere, lalangue
Jacques Lacan ha inaugurato un filone psicoanalitico teorico-pratico specifico che ha collocato in maniera definitiva la disciplina inaugurata da Freud in una posizione indipendente rispetto agli ambiti medici e sanitari. Le sue ipotesi sull’inconscio, infatti, lo portarono ad essere considerato un eretico dall’IPA (International Psychoanalytical Association) e ad essere emarginato dalle istituzioni psicoanalitiche.
Che cosa ci ha lasciato Lacan? Proviamo a rispondere attraverso questi quattro concetti, consapevoli del fatto che si tratta di una riduzione ma forse utile a chi non conosce questo eccentrico studioso o a chi non conosce la pratica analitica intesa come riflessione filosofico-linguistica e non come strumento di guarigione.
L'ignoranza, per come la definisce lo psicoanalista Jacques Lacan, è una peculiarità che accomuna gli esseri umani per il semplice fatto di parlare e di pensare.
Benché questa capacità linguistica sia associata, sia dal senso comune che da alcune discipline scientifiche, ad effetti di carattere opposto come la coscienza di sé, la conoscenza sui fatti del mondo, la gestione delle proprie ansie ed emozioni, etc., Lacan ipotizza che il linguaggio del quale ci serviamo nella vita di tutti i giorni sia estraneo, inconsistente ed effimero. In altre parole, il codice linguistico, secondo l’autore, sarebbe privo di quelle indicazioni comportamentali precise che guidano il mondo animale attraverso l’istinto.
Secondo Lacan, che implica nella sua teoria la linguistica saussuriana sconvolgendola, gli elementi verbali del linguaggio (le parole ed i loro suoni) significano qualcosa in concreto solo per differenza, ovvero a partire dalla relazione che essi instaurano gli uni con gli altri: le parole del codice linguistico, prese una a una, non hanno valore esplicativo.
Dal momento che sui singoli elementi del codice non si può fare affidamento, Lacan arriva ad affermare che le parole che prendiamo a prestito dal linguaggio servono ad articolare una costruzione soggettiva su lalangue, ovvero sulla lingua fondamentale di ciascun individuo, quella lingua materna che è rappresentata da un insieme significante di parole miste a suoni, percezioni, affetti e avvenimenti che hanno caratterizzato la vita precoce di ognuno.
L’inconscio freudiano, per Lacan, dunque, altro non è che lalangue, questa logica soggettiva e particolare fatta di una determinata concatenazione di significanti che si ripete nel corso di una vita, a prescindere dai contesti o dalle situazioni. Insomma, quest’insieme significante che determina il soggetto dell’inconscio permea l’essere umano; infatti, sin dalla nascita, le parole dell’Altro lo curano, lo accompagnano, lo istruiscono, lo attraversano necessariamente. La soggettività del “parlessere” – così Lacan definisce l’essere umano – è significata dall’esterno, dai significanti dell’Altro.
Per questo motivo l’essere umano sperimenta l'ignoranza, una passione provocata dal “misconoscimento” della verità inconscia che soggiace ai pensieri, agli enunciati ed ai comportamenti dell’individuo, senza che quest’ultimo lo desideri o ne sia consapevole. Tuttavia, questa logica inconscia (lalangue) può emergere tra i significanti anche se l’io non ne ha accesso diretto; la può intravedere, dunque, quando la ripetizione si manifesta con prepotenza, quando l’individuo avverte di essere guidato da qualcosa di immutabile che spesso produce sentimenti di sofferenza, di impotenza o di inadeguatezza, quando si pone, cioè, domande analitiche come: perché mi sento sempre escluso, inadatto, fuori luogo, abbandonato etc.? Come mai mi succedono sempre le stesse cose? E perché io non riesco a sottrarmi? Perché mi lego allo stesso tipo di persone? E perché ne sono attratto?...
La prima funzione della psicoanalisi è rappresentata, allora, dall’accogliere queste domande di sapere sull’enigma che emerge sulla soggettività. È il desiderio di sapere che muove la pratica analitica lacaniana, generando un analizzante ed un analista, assieme al desiderio di lavorare sulla propria lalangue, per trasformare la ripetizione, percepita come afflittiva, in un’opportunità di ripartenza.